“Questo è il credo di Femlandia.
Le nostre comunità, fondate nel secolo scorso dalla grande femminista Win Somers, sono un rifugio per tutte le sorelle che cercano un’alternativa. Un mondo senza uomini. Un mondo senza preoccupazioni. Un mondo dove le donne possono vivere da sole e in pace.
Se ti sembra un’utopia, perché non provi a unirti a noi? Ti accoglieremo a braccia aperte.
Ti aspettiamo sorella.”
Siamo in America, Maryland, in un futuro distopico, il presidente ha appena annunciato la bancarotta, gli scaffali dei supermarket assaltati come prima di una tormenta, il petrolio alle stelle, prezzi saliti su tutti i beni di prima necessità e non, le scuole sono chiuse. Un disastro. (Scene da The walking dead, senza gli zombie).
A Miranda, figlia della femminista Win Somers, e alla figlia Emma hanno portato via tutto: la casa, i mobili, le pentole. Il marito che ha speso fino all’ultimo centesimo, indebitandosi oltremodo, si è suicidato riducendole sul lastrico. E non è l’unico ad aver scelto questa strada. Senza viveri, senza un tetto, l’unica alternativa è andare in una delle colonie fondate dalla mamma, “dove tutte mangiano erba di grano, gridano che gli uomini fanno schifo e ascoltano in loop i brani incazzati di Janis Joplin”. Non proprio il genere di Miranda, ma tant’è.
Emma e Miranda varcheranno, quindi, la soglia di Femlandia, una comunità di donne che non si riconosce negli Stati Uniti, non ne osserva le leggi, non paga le tasse, e non riceve nulla dall’esterno. Si autogestiscono in tutto.

All’inizio Miranda cerca di vedere solo il lato positivo, hanno un tetto e cibo, ma piano piano si rende conto che c’è qualcosa che non va, qualcosa di molto brutto si cela dietro la facciata apparentemente perfetta.
Una storia incredibilmente disturbante.
Un romanzo dal ritmo serrante, che ci restituisce una trama che fa tanto riflettere.
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